sabato 29 giugno 2013

LO SCHERZETTO Governo di tasse: Iva congelata per 3 mesi, ma aumenta l'acconto Irpef

PER CONGELARE L'IVA PER TRE MESI  AUMENTA L'ACCONTO IRPEF, STANGA 
LE SIGARETTE ELETTRONICHE E FA PAGARE DI PIÙ LE IMPRESE. INCASSA 2,6 
MLD, NE SERVIVANO 2.
Letta doveva abbassare le tasse, ma le anticipa di tre mesi e ci fa la cresta
Enrico Letta
Qual è il tuo stato d'animo?
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Iva bloccata e congelata per 3 mesi (se lo sarà fino a dicembre, come vuoleSilvio Berlusconi, si vedrà), e pacchetto da 1,5 miliardi per il lavoro. Il CdM vara un blocco di interventi importanti, ma dietro c'è lo scherzetto: per trovare la copertura (di cui l'Unione europea non era convinta) il governo piazza un aumento dell'acconto Irpef al 100%. Quando a novembre dovremo versare l'anticipo dell'acconto sulle persone fisiche, dunque, non si pagherà più solo il 96 per cento. Nel 2011 Mario Monti aveva ridotto l'acconto all'82 per cento. Ma

martedì 25 giugno 2013

L'IVA BISOGNA RIDURLA ALTRO CHE ALZARE!. DALL'INIZIO DEL 2013 OLTRE 21 MILA IMPRESE CHIUSE

Nella prima parte del 2013 sono falliti oltre 20 mila negozi.
«è giunto il momento di detassare le nuove assunzioni»

Confesercenti, nel corso dell’assemblea annuale, 
ha diffuso i dati relativi alle aperture e chiusure di negozi nella prima
parte del 2013. In cinque mesi sono falliti oltre 14 mila punti vendita 
al dettaglio e oltre 6 mila legati a bar e turismo, e la prospettiva per i 
prossimi mesi non è confortante. 2013, i settori del commercio e del 
turismo hanno registrato un’enorme quantità di chiusure di imprese 
che, nonostante le nuove aperture, vedono mancare all’appello ben 
224.000 titolari e collaboratori familiari. Un’ecatombe difficile da 
recuperare. Un dato ancora più sconfortante se si pensa che ogni 
giorno in Italia chiudono 5 negozi di ortofrutta, 4 macellerie, 42 
negozi di abbigliamento, 43 ristoranti, 40 pubblici esercizi. Gli italiani
 hanno subìto un vistoso calo del loro reddito, di ben 238 miliardi, pari
 a 9.700 euro per ogni nucleo familiare. In questi anni di estrema 
difficoltà, i nostri imprenditori hanno fatto di tutto per la sopravvivenza 
delle loro imprese: hanno continuato ad investire, ad innovare l’offerta, 
a ridurre i prezzi, a rinviare i licenziamenti, ad indebitarsi. Hanno cercato 
di salvaguardare i livelli occupazionali,consapevoli dei drammi familiari. 
Ma non è bastato. Adesso è tempo di reagire.
In che modo?
Per prima cosa, è necessario rinegoziare con l’Europa, e non solo con la Germania, i vincoli che ci stanno strozzando ed impoverendo. E poi voltare pagina. Dobbiamo essere capaci di sbattere in faccia le porte alla corruzione, sprecare meno, semplificare il sistema istituzionale, garantire stabilità politica, creare opportunità di lavoro e condizioni per la tenuta delle imprese. Credo che un percorso importante sia quello di eliminare i privilegi a ogni livello. Partendo dal fatto che la caduta del reddito disponibile delle famiglie è di 4 miliardi, che si aggiungerebbero ai 94 degli anni passati. E che questo meccanismo genera un effetto “domino” sui consumi o le spese sanitarie.
Che tipo di provvedimenti dovrebbe prendere il Governo?

Un primo passo sarebbe quello di non alzare l’Iva ma di ridurla. Ci auguriamo poi che il governo Letta tenga conto della situazione di stallo che stanno vivendo le piccole e medie imprese. È il momento di lavorare insieme alle istituzioni per il benessere del nostro paese, di non aumentare la Tares, che genererebbe gravi ripercussioni. Inoltre diciamo no alle liberalizzazioni che distruggono imprese e città e ribadiamo la nostra contrarietà alle eccessive sanzioni di

sabato 22 giugno 2013

PRIMA CASA: LO STATO NON LA PUO' PIGNORARE, LE BANCHE SI!

Equitalia e dintorni
Siamo sicuri che cambi davvero qualcosa con il “decreto del fare”? Quali gli effetti sul mercato?
Dopo una riunione fiume, lo scorso 15 giugno, il governo Letta ha licenziato il “decreto del fare” ( ☞ tutte le misure previste): tra gli ottanta punti previsti dal decreto, quello che ha riscosso l’immediato interesse dei media e dell’opinione pubblica è stato l’impignorabilità della prima casa. Come riporta il comunicato stampa pubblicato dal sito del Governo, alla voce “semplificazione fiscale - Pignorabilità delle proprietà immobiliari”:
Se l’unico immobile di proprietà del debitore è adibito ad abitazione principale, non può essere pignorato, ad eccezione dei casi in cui l’immobile sia di lusso o comunque classificato nelle categorie catastali A/8 e A/9 (ville e castelli).
Per tutti gli altri immobili, il valore minimo del debito che autorizza il riscossore a procedere con l’esproprio dell’immobile, è stato innalzato da 20mila a 120mila euro.
L’esecuzione dell’esproprio può essere resa effettiva non prima di 6 mesi dall’iscrizione dell’ipoteca, mentre in passato erano sufficienti 4 mesi.
Per quanto riguarda le imprese, i limiti alla pignorabilità già presenti nel codice di procedura civile per le ditte individuali sono estesi alle società di capitale e più in generale alle società dove il capitale prevalga sul lavoro.
Il primo aspetto da approfondire è semplice: come si arriva(va) al pignoramento della prima casa? È bene sottolineare che il Codice Civile stabilisce che “il debitore risponde dell’adempimento

martedì 18 giugno 2013

L'economia della felicità, di Helena Norberg-Hodge.

L'Economia della Felicità

it-eohL'Economia della Felicità descriva Un Mondo Che SI Muove simultaneamente in causa Direzioni opposte. Da ONU Lato, Una diabolica Alleanza di Governi e Grandi Imprese continua a promuovere la Globalizzazione e il Consolidamento del Potere corporativo. Allo Stesso tempo, la Gente di Tutto Il Mondo SI sta opponendo una QUESTE Politiche, chiedendo Una Nuova regolamentazione del Commercio e della Finanza, e, Lontano Dalle Vecchie Istituzioni del Potere, Stanno cominciando a forgiare ONU Futuro Molto Diverso.Comunita SI Stanno Unendo per Ricostruire una Misura d'Uomo economie ecologiche basate su delle Nazioni Unite Nuovo Paradigma - un'economia di Localizzazione.
Ascoltiamo ONU Coro di Voci provenienti da sei Continenti, TRA cui Vandana Shiva, Bill McKibben, David Korten, Samdhong Rinpoche, Helena Norberg-Hodge, Michael Shuman, Zac Goldsmith e keibo Oiwa.CI DICONO Che il Cambiamento Climatico e il Picco del Petrolio ci Danno ben poca Scelta: ABBIAMO Bisogno di localizzare, ovvero di portare a casa l'economia. La Buona Notizia E il Che, Nel Momento in cui ci muoveremo in this Direzione, inizieremo Non Solo un guarire la terra, ma also a ripristinare Il Nostro Senso di benessere. L'Economia della Felicità CI Sfida a ripristinare la Nostra fede nell'umanità, CI Sfida un Credere Che SIA possibile Costruire Un Mondo Migliore.
"Ogni governo ha sostenuto le grandi banche, i grandi business e le corporation internazionali a scapito delle economie nazionali, regionali e locali. Questo principio è il cuore di quello che io penso sia sbagliato. Le grandi corporation e le grandi banche straniere non possono rispondere ai bisogni delle persone del Paese e del territorio. Abbiamo bisogno di cambiare direzione per agire a favore sia delle imprese che delle banche entro i confini della nostre politiche, entro quelle strutture visibili, dove facciamo business responsabile e che quindi possono essere regolate. Abbiamo bisogno che la società operi dal basso!" Helena Norberg-Hodge
Il Passaparola di Helena Norberg-Hodge, fondatrice e direttrice del ”International Society for Ecology and Culture” (ISEC) e vincitrice del Right Livelihood Award
Dal mio punto di vista, e dal punto di vista del mio Istituto ISEC, è cruciale diffondere quella che io chiamo alfabetizzazione economica. Questa è la chiave per comprendere che ogni governo ha sostenuto le grandi banche, i grandi business e le corporation internazionali a scapito delle economie nazionali, regionali e locali. Quasi dall’inizio dell’economia moderna percorriamo questa strada basata sul principio dei vantaggi competitivi ossia: “non è nel tuo interesse produrre per i bisogni del tuo paese o della tua regione, invece è nel tuo interesse specializzarti per le esportazioni”. Questo principio è il cuore di quello che io penso sia sbagliato. Credo che ci sia stata buona fede, ma cieca, una cieca buona fede.
Le grandi corporation e le grandi banche straniere non possono rispondere ai bisogni delle persone del Paese e del territorio. Abbiamo bisogno di cambiare direzione per agire a favore sia delle imprese che delle banche entro i confini della nostre politiche, entro quelle strutture visibili, dove facciamo business responsabile e che quindi possono essere regolate. Questa è una distinzione molto importante perché possiamo andare sia oltre il socialismo e il comunismo, sia oltre il capitalismo delle corporation. C’è un sentiero dove la creatività, la creazione di profitto, gli interessi, possono funzionare in modo giusto e creativo purché queste strutture siano più a misura d’uomo, responsabili e visibili.
Abbiamo bisogno che la società operi dal basso, secondo quello che noi chiamiamo il principio di sussistenza per cui ogni Regione dovrebbe produrre la maggior parte del grano, del latte, del formaggio, delle verdure. I principali alimenti base del fabbisogno quotidiano devono essere localizzati e decentralizzati. Per facilitare la localizzazione del business responsabile e visibile, è molto importante anche studiare il movimento per il cibo locale che è cresciuto rapidamente, in particolare in America, Inghilterra, Australia. In molti casi i contadini hanno passato la loro vita a produrre un solo prodotto per mercati lontani vendendo a supermercati. C’era intensa pressione per produrre solo una o due cose ma per avere dimensioni standard, forme standard, prodotti standardche si adattino alle macchine per il raccolto, per il trasporto, per l’imballaggio, che si adattino agli scaffali dei supermercati. E ogni volta l’ingegneria genetica con i semi ibridi assicurano che

sabato 15 giugno 2013

L’Italia : un paese senza bar e negozi. Nel 2014 si arriverà a una vera e propria desertificazione di aziende e negozi: il fenomeno è dovuto soprattutto alla burocrazia.


Di Simone Ricci • 15 giu, 2013 •
Le nostre città rischiano di diventare veri e propri deserti: lo scenario è quello dipinto dalla Confesercenti, secondo cui bar, ristoranti, locali e altri negozi potrebbero sparire uno dopo l’altro, tanto da arrivare in condizioni disastrose al 2014 se il ritmo di chiusure delle imprese attive nel commercio dovesse continuare con la stessa intensità. L’associazione ha reso noto un saldo negativo molto vicino alle 17.100 aziende, circa il 5% in meno rispetto a quanto rilevato lo scorso mese di dicembre.
I numeri peggiori sono quelli che riguardano quei negozi che sono attivi nel settore dell’abbigliamento, con ben 11.238 esercizi destinati a scomparire, vale a dire l’8% in meno su base annua. Chi resiste ancora, al contrario, è il comparto alimentare, dato che vi saranno “soltanto” 4.701 sparizioni (-3% per la precisione). Il saldo di cui si sta parlando si ottiene dalla differenza tra le aperture di attività commerciali e le chiusure, dunque non è incoraggiante che prevalgano sempre le seconde.
Non si possono nemmeno fare troppe distinzioni tra regioni e regioni, visto che il fenomeno colpisce praticamente l’intera penisola. Vi sono dei casi che vale la pena ricordare comunque: ad esempio, il maggior numero di chiusure di negozi del settore alimentare avverrà in Sicilia, mentre la Basilicata fa registrare i numeri più allarmanti in assoluto per quel che riguarda l’abbigliamento. L’unico segno più si riferisce alla Valle d’Aosta e ai bar, con trentatré nuove aperture e trenta chiusure (+1%).
Tra l’altro, come evidenziato dalla Cgia di Mestre, una corposa fetta di responsabilità va imputata alla burocrazia. Quest’ultima costa alle imprese italiane più piccole ben trentuno miliardi di euro, settemila a testa. Va semplificato l’intero processo che porta alla creazione e apertura degli esercizi commerciali, altrimenti continueremo a sentire storie di italiani che hanno preferito evitare tutto ciò e aprire negozi e aziende all’estero.

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